Il Bava aveva quindici anni…

Il Bava aveva quindici anni, ma quanto a emozioni intense avrebbe potuto dare lezioni a chiunque…

Ambientato in un futuro ormai contemporaneo, nel 2019, Il Re dei rovi propone un mix di generi e linguaggi, e di personaggi che si muovono attraverso realtà spesso crude e difficili.

Lo sfondo è di denuncia sociale. La crisi economica ha colpito duramente e mietuto innumerevoli “vittime”, con la complicità oscena della politica.

La situazione del Bava, uno degli adolescenti protagonisti del racconto, ne è un esempio.

I Bava (così li chiamava Milo, e il nomignolo era entrato nell’uso) erano una delle tante famiglie colpite dalla crisi. La tragedia si era svolta secondo il solito copione, dettaglio più, dettaglio meno: governo boicottato dai poteri forti, disordini nelle strade, elezioni anticipate; vittoria di un candidato che, consacrato come Salvatore della Patria, aveva preso misure ‘dure ma necessarie’ che avevano impoverito i suoi elettori, con la scusa di perseguire il bene comune.

Bava Padre aveva passato due anni a letto, vittima di una depressione. Finché un parente gli aveva trovato un lavoro, al di sotto delle sue qualifiche e lontano dai suoi gusti (Bava Padre era giornalista), ma con cui portava la pagnotta in tavola. Avevano ancora molti debiti da pagare. Il più grosso era il mutuo della casa, di cui però per legge non potevano disporre: se anche avessero fatto la fame, non avrebbero potuto venderla.

Delle tante ragioni che rendevano traumatica la situazione, nessuna era più grave per il Bava dell’impossibilità di comprare fumetti.

Resistere e sperare sempre in una possibilità di libertà, attraverso la fantasia, è il tratto che accomuna gli eroi popolari di Figueras. Anche nelle situazioni più disperate, la capacità di reagire fa compiere loro gesta epiche. Nonostante il devastante clima umano che li circonda. Il pericolo per la vita è legato al pensiero: anche solo avere delle idee può costare caro.

La violenza cui i media facevano da cassa di risonanza gli era passata lontano, finché non era suonata l’ora del Parrucca Rojas. Il Parrucca andava alla loro stessa scuola, era due anni avanti al Bava e a Milo. L’OFAC l’aveva mitragliato senza pietà, ma quella non era stata la sua unica morte. Quella definitiva era venuta dopo, quando giornali e televisione l’avevano diffamato.

Il Parrucca viveva nella villa San Francisco e questo lo rendeva sospetto per definizione. Ma era stato un delinquente occasionale, e solo suo malgrado. Il peccato che l’aveva portato alla morte era stato piuttosto quello della militanza politica.

Il Bonzo era entrato da due mesi a far parte del gruppo che il Parrucca aveva fondato nella baraccopoli (si chiamavano ‘I traviati’) quando era scoppiato l’incendio che se l’era mangiato vivo. Fino a quel momento, il Bonzo era Jonathan Vergara. Non lo sarebbe stato mai più. Il Bava si sentiva ancora in colpa per il soprannome. I bonzi storici si davano fuoco di propria volontà, mentre il suo amico non aveva mai voluto andare arrosto. L’errore era stato tirare fuori l’analogia davanti alle persone sbagliate. Cioè quegli imbecilli dei suoi compagni.

Milo, Pierre e il Bava avevano montato la guardia al Centro grandi ustionati. Quando arrivava il suo turno, il Bava faceva uno sforzo per non darsela a gambe.

Non si era ancora abituato alla faccia senza naso del Bonzo, alla sua pelle rosata e piena di bolle da mostro spaziale.

Gli voleva un mondo di bene, quello non era cambiato. Ma gli si rizzavano i capelli sulla nuca ogni volta che lo vedeva.

L’Eternauta. Edizione italiana 001 Edizioni.

Il Re dei rovi scorre come una corrente nel fiume della storia dell’Argentina. Vi si ritrova in pieno la tradizione narrativa del grande paese sudamericano, con riferimenti circostanziati al contesto generale.

«Questo è un paese strano» continuò il Bava. «È sempre stato un banco di prova del potere mondiale. Per anni, ad esempio, siamo stati governati da militari. Alla fine sono caduti in disgrazia, erano diventati indifendibili. Allora i potenti hanno cercato un altro modo per arrivare al governo. Ci hanno provato un migliaio di volte, finché ci sono riusciti. Ecco perché oggi abbiamo un governo conservatore e repressivo».

«Conservatore?».

«Nemico dei poveri! Siamo governati da un’aristocrazia che, per assurdo che possa sembrare, è salita al potere grazie al voto popolare. La forza del denaro: tanto marketing, manipolazione dei media, propaganda… Fatto sta che sono riusciti a convincere la metà dell’elettorato più uno che il lupo era un buon guardiano per le pecore. Anche mio padre, purtroppo. E sì che è gente che ha studiato!».

Milo pensò che fosse arrivata la sua occasione. Fece segno al Bava di continuare a parlare.

«Da quando il presidente in carica ha vinto le elezioni» disse il Bava senza farsi pregare, «ha favorito i suoi amici e prodotto poveri su poveri. Per tenere sotto controllo le proteste, ha creato una polizia con pieni poteri a cui ha triplicato il budget, ha raddoppiato il numero degli effettivi ed emanato decreti che la sollevano da ogni responsabilità nella repressione. Adesso qui ci sono squadroni della morte. Come una volta in Brasile!».

«Squadroni della morte» insisté il Bava, notando lo sconcerto dei presenti. «Bande che assassinano ragazzi poveri. Li accusano di attività criminali che non si prendono il disturbo di dimostrare. Un modo drastico di seminare il terrore, e anche di esercitare il controllo demografico. L’OFAC è l’élite di questi gruppi d’assalto, creata con la scusa di combattere il terrorismo. O-effe-a-ci. Organizzazione Federale Affari Comunitari. I tizi che sono rimasti là nel cimitero, rigidi come statue».

Il suo discorso fu interrotto da Milo, che passava all’azione.

Il passato che ritorna. Violenze manifeste e violenze invisibili. Il presente che mostra contorsionismi già visti: potrebbero riguardare realtà contemporanee di molti paesi, le rappresentazioni dell’artista Figueras che mentre cita e rende omaggio a Oesterheld e a L’Eternauta, racconta quello che potrebbe attenderlo, lui e tutti noi, in un futuro che è stato tante volte, nella storia, sotto gli occhi di tutti, prima di diventare un tragico passato.

L’Eternauta. Edizione italiana di 001 Edizioni.

Non appena il nuovo presidente si era insediato, la violenza era dilagata nelle strade. Tutti i giorni si contavano nuove vittime. Ammazzate nelle loro macchine, nei bar, nell’intimità delle loro case.

I mezzi di comunicazione dedicavano prime pagine e ampio spazio a questi fatti. La colpa di tutto, dicevano, era l’aumento della criminalità che i giudici rendevano possibile con il loro garantismo. Criticavano il fatto che la gente fosse rimessa in libertà per mancanza di prove, che i detenuti fossero rilasciati una volta scontata la condanna. Anche se i numeri indicavano che, al contrario, le carceri non erano mai state più affollate.

Ben presto cominciarono a circolare voci che raccontavano ciò che i media non volevano vedere.

Molte delle vittime avevano ruoli pubblici nella comunità. Rappresentanti sindacali. Insegnanti. Militanti di ONG. Giornalisti. Tutti critici nei confronti del Governo e impegnati per una politica che mettesse fine all’esclusione sociale.

Era vero che non si trattava di figure di spicco, ma la tesi rimaneva valida: i tratti che accomunavano le vittime permettevano di parlare di una campagna di violenza perfettamente orchestrata.

Presto avevano tirato fuori la scusa del terrorismo.

Tre attentati avevano innescato la caccia.

Rivendicati da un’organizzazione che si faceva chiamare Anarchia (lasciava la propria firma sui muri, una A tra parentesi), scatenarono per prima cosa l’offensiva dell’OFAC: subito cominciarono le sorveglianze, le intercettazioni, le retate in cerca di persone sospette.

A nulla valse che in tanti mettessero in dubbio l’esistenza di quella banda armata.

[…]

Secondo il ministro popolarmente noto come l’Eminenza grigia, gli attentati dimostravano senz’ombra di dubbio l’esistenza di (A).

Un quarto attentato contro un funzionario eletto, questa volta fallito, aveva portato alla Legge Generale di Emergenza.

Sia l’Autore che le sue Figlie avevano preso parte alla campagna contro il varo della legge. La ritenevano uno strumento perverso, che limitava le libertà con il pretesto del bene comune.

Ma il Congresso l’aveva approvata, congratulandosi per avere dato una risposta a quelle che chiamava ‘le istanze dei cittadini’.

Furono revocate le licenze a radio e televisioni. Furono chiusi alcuni giornali. Si stabilirono dei meccanismi di censura preventiva.

Fu allora che (A) tornò alla carica.

Fecero saltare in aria l’automobile del colonnello Lazarte, il capo dell’OFAC.

Emilio Lazarte non era un militare ma un avvocato. Lo chiamavano colonnello perché dei militari aveva il portamento, i baffi, la voce autoritaria con cui rispondeva alla più semplice delle domande. Il giornale “Página 12” l’aveva rappresentato a letto, con un pigiama mimetico: un chiaro fotomontaggio, ma non per questo meno divertente. L’attentato, invece, non fu affatto divertente. Lazarte non si fece un graffio; del suo autista, invece, non furono ritrovati che pochi pezzi.

Poi (A) sequestrò un imprenditore e chiese il riscatto.

La campagna del Governo si fece sempre più pressante. Le cose erano arrivate a un punto tale, si argomentava, che non si poteva far altro che passare all’azione.

Insieme ad altri delitti commessi simultaneamente, l’assassinio di Helena fu l’inizio della repressione…

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