Chi erano le ragazze? Helena, Sofìa, Bàrbara, Miranda. Si salveranno le quattro fanciulle scomparse, che gli Eroi di Figueras tentano di sottrarre alla feroce OFAC?
Si chiamavano, in realtà, Estela, Diana, Marina, Beatrix, le quattro figlie sequestrate rapite e uccise, insieme ai loro mariti, di Héctor Oesterheld, l’autore de L’Eternauta egli stesso assassinato dal regime militare argentino. Tutti desaparecidos, fatti sparire come se non fossero mai esistiti. Sequestrati, torturati e poi gettati da aerei in volo nelle acque dell’oceano, dopo avere ricevuto la benedizione di sacerdoti complici. Le vittime furono migliaia e migliaia, soprattutto giovani. Un’intera generazione sterminata. Intellettuali, scrittori, artisti finirono nel mirino della repressione, il cui obiettivo era distruggere anche la vita culturale dell’Argentina.
Amavano la cultura e amavano studiare le quattro ragazze scomparse, quelle immaginate da Figueras e quelle realmente esistite. Ai giovani protagonisti de Il Re dei rovi la scuola non dispiace poi tanto.

Foto tratta dal libro Gli Oesterheld di F. Nicolini e A. Beltrami, © 001 EDIZIONI 2018
Il giorno seguente tornò a scuola.
A differenza dei suoi amici, a lui non dispiacevano le lezioni. Era vero che i professori parlavano di cose irrilevanti per la sua vita: matematica complessa, geografia di altri continenti, tempi verbali (Milo credeva di essere puro presente, dato che il suo passato era sepolto e un futuro non ce l’aveva). La scuola però gli dava l’illusione di fare almeno un po’ parte di questo pianeta. Lo costringeva a frequentare altra gente, oltre ai parenti dei defunti, ai becchini e ai poliziotti; lo faceva sentire quasi umano.
E poi lo proteggeva dalla schiavitù. Don Maciel voleva che lavorasse al suo servizio a tempo pieno. «È il minimo che puoi fare» diceva. «Io ti ho dato la vita, mi sono fatto il culo per te per anni!». Per fortuna di Milo, quando gli passava la sbronza la sua coscienza borghese si rifaceva viva. Non si azzardava ancora a ordinargli di lasciare la scuola. Anche se, secondo Milo, era solo questione di tempo.
Il vicedirettore, che di nome faceva Barbeito (sembrava uno scherzo, ma era vero che aveva una barbetta), aveva perforato la sua corazza e conosceva bene il caso. Sapeva che, benché fosse intelligente, Milo era a un passo dall’essere espulso dal sistema. E dato che la situazione lo indignava profondamente, faceva qualcosa che non avrebbe dovuto fare: quando i registri di classe gli passavano per le mani, trasformava le assenze di Milo in presenze.
Milo non andava a scuola quando era costretto a lavorare. Il vicedirettore non era l’unico a saperlo, lo sapevano anche i suoi amici. Per questo gli passavano gli appunti e, se possibile, anche i compiti fatti.
Milo preferiva copiare quelli del Bava, che era un bravo studente e scriveva in modo chiaro.
Di Pierre non si fidava, perché sentiva la metà di quello che veniva detto in classe. Il suo amico andava a dormire a orari impossibili, dopo il lavoro con il quale contribuiva all’economia familiare. Era quello che nel Delta chiamavano un ‘rastrellatore’: frugava negli immondezzai in cerca di qualcosa di vendibile. Le discariche tenevano in vita tanta gente, però presentavano il conto. Il fratello maggiore di Pierre, Alain (i Tocopilla erano di Pando, in Bolivia, e per qualche motivo che gli sfuggiva avevano un debole per i nomi francesi), era stato seppellito da una frana di rifiuti.
Il Bonzo prendeva la scuola sul serio, ma aveva una calligrafia illeggibile. Aveva perso due dita nell’incendio della baracca in cui viveva (sia Pierre che il Bonzo abitavano nella villa San Francisco, la più infiammabile delle baraccopoli). L’incidente gli aveva anche rovinato la faccia, che era rimasta piena di cicatrici. Spesso i suoi compagni (la scuola, come tutte le altre, era piena di idioti) abbandonavano il nomignolo di Bonzo per chiamarlo Monster oppure Artiglio.
La ragione che aveva messo insieme i quattro era semplice: nessun altro voleva avvicinarli. Né in cortile, chiuso da muri sormontati da filo spinato. Né in classe. E tanto meno per strada…
È una lotta continua per restare umani, quella dei ragazzini nella Buenos Aires del 2019. Ma non solo a Buenos Aires. Alla ricerca di un’umanità perduta sono anche i personaggi fantastici che Figueras fa vivere ne Il Re dei rovi.
Anche i Fumetti in carne e ossa, a volte, si innamorano!
Aveva attirato la sua attenzione per tre motivi: perché era bellissima (quando lo disse ebbe la sensazione che Helena sospirasse), perché era cieca e perché andava tutti i giorni con una brocca ad attingere acqua da un fiume in secca.
All’inizio pensò che fosse pazza. Ma andava al fiume due volte al giorno, sempre negli stessi orari (la seconda, per fortuna di Metnal, dopo il calar del sole), con una puntualità che non sembrava propria di una folle.
Metnal frequentava quel luogo, dove entrava e usciva da Xibalbá. Ah Puch l’aveva messo al lavoro come mastino. Il suo compito consisteva nell’inseguire quelli che fuggivano dagli inferi, e anche quelli che cercavano di scansare la condanna che si erano guadagnati (la sceneggiatura del fumetto era incentrata su questo: il Metnal di carta aveva sembianze e modi da mostro, ma assolveva al lodevole compito di liberare i vivi dai malvagi nascosti tra le loro file). Vedeva dunque Lara con una certa frequenza. Scoprì che la ragazza lo ossessionava; e con il passare dei giorni ridusse le distanze.
Ben presto cominciò a farsi trovare lì prima del suo arrivo. Si sedeva su un masso ancora caldo ad aspettarla e la guardava al lavoro senza dire nulla. Dato che non respirava né aveva un cuore che pulsasse, la sua presenza poteva essere impercettibile come quella di un fantasma.
Ma una sera, senza neppure un saluto o una richiesta di identificarsi, lei gli chiese se voleva dell’acqua. Metnal si guardò intorno, per vedere se stesse parlando a qualcun altro: ma non vide nessuno. Lara ripeté l’offerta, confermandogli che stava parlando con lui: non era forse l’uomo che la proteggeva tutte le sere, mentre svolgeva il proprio compito?
«Prima del suo arrivo questo posto si riempiva di bestie al calar del sole» gli disse Lara. «Scorpioni. Sciacalli. Criminali in fuga dalla giustizia. Ma da quando è arrivato lei, signore, nessuno mi importuna. Di questo le sono grata. Se avessi qualcosa di più prezioso da offrirle di quest’acqua, glielo darei subito!».
Anche se non aveva sete (non aveva più bevuto dell’acqua da quando era fuggito dall’ospedale, ora non ne aveva più bisogno), Metnal accettò l’offerta.
Lara protese le mani con la brocca che aveva trascinato sul fondo pietroso del fiume.
Era piena d’acqua fresca. Metnal bevve un sorso. E sentì che la sua sete era placata.
Da quel momento si videro tutte le sere. Gli incontri duravano sempre più a lungo, mentre il cielo si riempiva di stelle.
Un po’ per volta lei gli raccontò il poco che aveva da raccontare. Era rimasta cieca all’età di cinque anni, quando era stata investita da un camion con la targa del Sonora. Una maga le aveva detto di non preoccuparsi, perché aveva perduto la vista per guadagnare in visione. E poi si occupava del vecchio padre, che diceva di soffrire per colpa di tutti i mali del mondo ed era felice solo quando Lara gli dava da bere.
Metnal si sorprese a raccontarle a sua volta la propria storia. Si era lanciato quasi senza rendersene conto, come se aprisse il suo cuore a qualcuno che conosceva da una vita. Per tutta la durata del racconto, continuò a pensare che non voleva spaventarla. Ma al tempo stesso aveva l’inspiegabile sensazione che Lara non l’avrebbe respinto, anzi, l’avrebbe capito.
Quando ebbe terminato lei rimase in silenzio. Metnal credette di aver commesso un errore confessandole tutto. Ma Lara si mise a cantare. Intonò una melodia molto semplice, una canzone che parlava di un vecchio topo. E quando tacque, gli accarezzò il viso come se lo vedesse, anzi, come se conoscesse i suoi lineamenti a memoria.
Capì che era innamorato. Come non lo era stato mai. Neppure quando il suo cuore batteva davvero…
Mondo reale e realtà virtuale. Ma è la fantasia il vero “motore” del cuore, la realtà umana.
«Internet non ucciderà mai il romanzo» afferma Marcelo Figueras che ne Il Re dei rovi fa appena affiorare Facebook, ma per porre in primo piano la Poesia.

Sulla bacheca Facebook di Fleur du Lys c’erano dei post nuovi. Fu un sollievo, significava che Fleur du Lys non si era data per vinta.
Nei post più recenti trovò dei sottotesti che a Bárbara sembrarono trasparenti. Uno era una poesia di Howard Moss intitolata The Pruned Tree, ovvero ‘L’albero potato’. Il testo completo avrebbe ingannato le spie, che sicuramente non apprezzavano la poesia. Ma gli occhi di Bárbara individuarono i versi che dicevano ciò che Fleur du Lys provava (come sbagliarsi?): ‘…La mia ferita è stata la mia cura / E le perdite mi hanno fatto più bello… / Spogliato, mi rallegro di ciò che mi hanno tolto / Cosa potrà fare la luce della luna con la mia nuova forma?’.
L’altro era un link a un video di Leonard Cohen su YouTube. La canzone intitolata The Traitor, ‘Il traditore’.
Bárbara la conosceva. Era quella che diceva: «I sognatori cavalcano contro gli uomini d’azione / Guarda gli uomini d’azione come si ritirano».
Si chiese se quello di Fleur du Lys fosse solo un omaggio al padre, da sempre fan di Cohen. O stava cercando di dirle qualcosa, scegliendo ‘Il traditore’?
Lottò contro la tentazione di mandarle un messaggio (era tra i contatti di Fleur du Lys con il nome di ‘WonderCina’). Qualcosa di vago ma che le desse speranza. Che le dicesse che nonostante la tragedia avrebbero cambiato il corso del proprio destino. Ma non le venne in mente niente che non suonasse naïf o pieno di luoghi comuni: niente all’altezza di Cohen o di Howard Moss.
Si limitò quindi a inserire la pen drive nella porta USB, facendo attenzione a non essere vista (una vecchietta che maneggia con disinvoltura certi aggeggi avrebbe attirato ancora di più l’attenzione), e aspettò che il virus finisse di caricarsi.
Il prossimo che avesse usato quel terminale l’avrebbe trovato privo di sistema operativo…